Berardi Automototive Calendario 2023

Calendario 2023 Berardi Automotive

Disegni da un altro tempo

Per il 2023 abbiamo scelto, come tecnica narrativa, di raccontare tredici angoli della Città di Noicattaro utilizzando gli acquerelli.

L’artista barese Francesca Di Vincenzo ha così interpretato monumenti, particolari e situazioni con l’incredibile poesia di questa tecnica e con la possibilità di raccontare e di raccontarci anche quello che sarebbe stato troppo complicato, per tante ragioni, trasmettervi attraverso la fotografia.

Abbiamo così evidenziato storie, esaltato piccoli dettagli e li abbiamo resi tali da lasciarli come un delicato omaggio alla nostra storia nelle vostre case.

Buon 2023.

Vito, Luciana e Francesco Berardi.

 

COPERTINA – PARTICOLARE DEL PORTALE SUD DELLA CHIESA MADRE

La Chiesa Madre della Madonna della Pace, ampliata dal Conte Normanno Cornelio De Vulcano, nel XII secolo su una preesistente costruzione bizantina, di cui abbiamo traccia nella cappella (X secolo).

La cappella del X-XI secolo, secondo la tradizione, nasce per la celebrazione della pace tra la comunità cristiana e la preesistente comunità pagana.

Successivi rimaneggiamenti dal XV secolo a seguire ci lasciano la costruzione come la vediamo oggi, ricchissima di delicate testimonianze, fino alla lapide all’ingresso che ricorda la terribile peste dell’inizio dell’800, a chiudere la sepoltura comune delle oltre 700 vittime della pandemia.

 

GENNAIO – STEMMA DEL XII SECOLO

Indicante il passaggio di un crociato

FEBBRAIO – INGRESSO DEL CASTELLO – SEC XII-XVIII

Il portone del castello dà accesso a un atrio e allo scalone che conduce agli originari appartamenti ducali. Da qui si può raggiungere i resti di un bastione difensivo e un residuo dei giardini pensili. Alle spalle di questo edificio si trova l’antica torre normanna di Noja, ormai mozzata. Attorno al perimetro originario del castello sono visibili ampi tratti dell’imponente fossato di epoca normanna, sul quale si affacciano balconate dalle colonne scandite dallo stemma della famiglia Caracciolo.

MARZO – CHIESA DELLA MADONNA DELLA LAMA

Tradizione dei falò delle celebrazioni pasquali.

APRILE – PROCESSIONE DEI CROCIFERI

Noicàttaro non è una vetrina tirata a lucido per i turisti: è un paese vero, immerso nella vita di campagna fra ulivi millenari e campi di uva da tavola. E’ in queste terre che cresce una devozione antica quanto le pietre ed è qui che bisogna venire per capire la profonda religiosità pugliese: una fede sincera che nei secoli ha forgiato un corredo di liturgie che, seppur ognuna distinta dal proprio ben delineato carattere, costituisce un pilastro dell’identità della Regione.

In particolare, a Noicàttaro si può assistere allo svolgimento di uno dei più potenti riti della Settimana Santa: la processione dei Crociferi.

Arriviamo dunque in paese nella serata del giovedì santo. Una volta in centro, non è difficile capire dove bisogna andare: a riprova della partecipazione comunitaria al rito, la città è come un grande alveare nel giorno di nozze della regina. Basta seguire il flusso delle persone nel buio della lunga notte nojana per ritrovarsi davanti al grande falò che brucia dinanzi al Convento degli Agostiniani.

L”immensa catasta, accumulata dai contadini nel periodo di Quaresima, in passato svolgeva funzione propiziatoria per le campagne, ma, nei secoli, ha assunto anche un significato simbolico nella ricostruzione degli eventi della Passione.

Dentro e fuori il grande edificio barocco, sciama senza sosta la folla di fedeli in visita al primo altare della reposizione. Ce ne sono infatti sette (chiamati anche “sepolcri“), distribuiti secondo un programma preciso, in altrettanti luoghi religiosi della città. Nella Chiesa della Madonna della Lama, annessa al convento, ha sede anche la confraternita della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo che custodisce gelosamente tutto il cerimoniale della Settimana Santa.

Entrando nel luogo di culto si notano subito le grandi croci lignee che attendono di essere caricate sulle spalle dal corteo di penitenti, i crociferi (dal latino fero, fers: portare) appunto. Ma, più di ogni altro, cittadini e visitatori attendono impazientemente di vedere “la prima croce“: colui che aprirà la processione, portando la croce più pesante di tutte. Questi, coi piedi scalzi, vestito di nero come il lutto di cui è emblema, il capo nascosto dentro al cappuccio del saio, una corona di spine sulla testa e una catena alla caviglia è la figura più importante del giovedì santo. La sua uscita è accompagnata dal suono delle “troccole”, lo strumento musicale arcaico che i bambini usano per riecheggiare gli insulti e lo sberleffo dei pretoriani nei confronti del Cristo. Essere “il primo crocifero” è in realtà un privilegio: c’è una lunga lista di candidati che attende pazientemente il proprio turno, un anno dopo l’altro. La sua vestizione avviene segretamente nelle stanze della Confraternita: si tratta di un passaggio chiave, i cui gesti, lenti e solenni, sono intrisi di profonda spiritualità.

Una volta uscito, il primo crocifero comincia un pellegrinaggio che durerà tutta la notte. Appesantito dall’enorme croce massiccia visita ognuno dei sette ostensori. Prima di varcare la soglia degli edifici sacri, la posa. Poi, attraversa in ginocchio tutta la chiesa. Giunge quindi davanti al sepolcro dove può abbandonarsi alla preghiera e, come autentico atto di fede, si percuote con la catena che si porta appresso.

Dopo di lui, seguiranno tutti gli altri portatori che compiranno gli stessi medesimi atti. Noi li seguiamo, in questa notte strana, come i fedeli nojani. Nel silenzio dei lampioni e rischiarati solo da poche fiammelle, i crociferi, con i loro scomodi sai scuri, vanno avanti e indietro da una chiesa all’altra indifferenti alla fiumana di gente. Il passo è lento, ogni tanto si fermano, riassestano la croce sulle spalle e poi ripartono. E’ sconvolgente la diacronia che si respira in questa serata: da una parte c’è il presente della gente comune con tutto il suo portato di modernità fatto di automobili, motorini, vestiti eleganti, smarphone e reflex; dall’altra ci sono loro, i crociferi, balzati fuori dalle pieghe di un tempo lontano, completamente distaccati dall’attualità ed immersi nel dramma della cristianità originaria. Non si tratta di una messa in scena: il crocifero, attraverso il suo atto doloroso, rivive intensamente la sofferenza di Cristo. E non si può neanche parlare di un rinnegamento della corporeità, secondo quella concezione che vede un’inconciliabile dualità di spirito e carne: tutt’altro. In realtà è proprio il corpo, toccato dal supplizio, a permettere l’elevazione dell’animo del crocifero, poiché l’esperienza è il miglior viatico per l’empatia. Ci troviamo dunque a calcare un terreno che non è manifestazione folkloristica e, casomai, vi si legge una sottile assonanza con certa body Art e con quel teatro catartico di matrice Artaudiana per il quale l’attore non è chiamato alla finzione, ma a donarsi interamente e dolorosamente al prossimo: anima e sangue.

In piazza, sotto il vessillo riportante la scritta P.D.N.I. (Passio Domini Nostri Jesus) un tamburo suona la condanna a morte del Cristo che avvisa dell’arrivo del penitente. Il crocifero, passandogli davanti, si inchina rispettosamente

In questa notte santa di Noicàttaro quindi si assiste a molto di più che a una curiosa usanza liturgica, il crocifero, con la sua meditazione fisica e viscerale sul martirio cristologico, smuove le corde più profonde del sentire umano: quelle che da sempre, indipendentemente dal culto, si interrogano sul nostro esserci nel mondo, sul nostro destino e, in definitiva, sul senso della stessa esistenza.

 

MAGGIO – ICONA DELLA MADONNA DELLA LAMA

 

Una leggenda narra che un antico dipinto bizantino, trasportato dalle acque alluvionali, che scorrono a volte impetuose nella «lama», andò a posarsi sul margine del torrente e i nojani vi costruirono dapprima una cappella per conservare l’immagine, e poi una chiesa.

All’inizio del XVII sec. e precisamente nel 1611, fu costruita l’attuale chiesa, come dice la data scolpita nella pietra alla base della facciata.

Dapprima era un eremo, affidato alle cure di un uomo, che, in cambio di qualcosa per il suo sostentamento, assicurava il servizio per le celebrazioni litiurgiche. Nel 1692 la volta della chiesa crollò e si dovette procedere ai lavori di rifacimento. Nel giugno 1757 avvenne la solenne consacrazione, celebrata dal vescovo di Polignano, Mons. Andrea Venditti di Arpino, come dice l’iscizione posta sull’acquasantiera.

Con le soppressioni napoleoniche la chiesa fu chiusa ed adibita a deposito. Riconsegnata al clero, fu affidata alle cure dei confratelli della Passione e Morte di N.S.G.C., che ivi avevano sede. Nel 1845 accanto alla chiesa fu costruito il cimitero, ci furono alcuni lavori all’interno, che si arricchì delle opere del pittore nojano Giuseppe De Mattia (sei tele nel periodo 1839-1865). È una chiesa a tre navate in stile barocco. La facciata è semplice, con un finestrone sulla porta. L’interno invece è ricco di stucchi e di decorazioni. Addossato sulla parte posteriore sinistra il campanile, non molto alto, con acroterio a cipolla.

Fino al 1955 c’era un maestoso altare maggiore, a forma di manto regale a larghe falde, aperto,con in alto una grande corona e al centro il quadro della Madonna. Ai lati le statue di S. Nicola da Tolentino e S. Francesco. Fu demolito perché pericolante, per essere sostituito da un nuovo altare di marmo policromo. Nel 1981 questo altare venne sostituito da un altro ancora, composto da tre ante con al centro il dipinto della Madonna. Alla base dell’altare maggiore e sui leggii furono sistemati dei bassorilievi in bronzo, opere di A. Bibbò, che rappresentano scene della vita di Gesù (moltiplicazione dei pani, pesca miracolosa, Crocifissione) e di S. Agostino (S. Agostino riceve il battesimo da S. Ambrogio, S. Agostino dà la regola ai frati, S. Agostino ascolta i sermoni di S. Ambrogio, S. Agostino vescovo seduto col libro aperto tra le mani).

Sotto il bassorilievo del leggio di sinistra è conservato un frammento del V sec d. C. dell’altare su cui ha celebrato il Santo di Ippona. Questa reliquia fu donata dai PP. Vittorino Grossi e Angelo di Bernardino. In fondo alla navata destra, al posto di un presepe in pietra, fu eretto un altare sormontato da una nicchia con la statua di S. Rita, a devozione del famoso scienziato nojano Nicola Pende. In fondo alla navata sinistra, racchiuse da grandi vetrate, sono sistemate le statue della Passione, che vengono portate in processione durante la Settimana Santa. Nel catino del presbiterio un affresco del pittore nojano Vito Laudadio rappresenta S. Agostino che addita col braccio alzato la Croce e ai lati i quattro Evangelisti.

GIUGNO – BICICLETTA IN PIAZZA UMBERTO I

Piazza Umberto I è la più importante piazza di Noicattaro. La sua attuale conformazione è l’esito delle operazioni di riqualificazione urbana dei primi anni ’70 che portarono alla demolizione di un intero isolato abitativo, modificando in maniera profonda il rapporto tra gli spazi pubblici urbani e l’edificato e definendo un nuovo limite del centro antico.

Le fonti storiche ed iconografiche, testimoniano che l’antica cittadina di Noja era circondata da una doppia cinta muraria, formata da una muraglia interna, posta ai margini nucleo antico ed una esterna, distante circa 22,20 metri dalla precedente. Tra le due muraglie si disponeva il fossato.

Il successivo sviluppo, riportato nel rilievo del primo catasto urbano del 1875, ha visto la realizzazione di edifici sulle mura e l’innalzamento della quota nell’area dell’antico fossato per la realizzazione della piazza del Mercato, luogo che ha acquisito il ruolo centrale di piazza cittadina, attorno alla quale si disponevano i fronti del nucleo antico in opposizione a quelli Ottocenteschi con alcuni dei loro edifici più rappresentativi, come ad esempio la Torre dell’Orologio e la chiesa di Maria SS. Immacolata.

Questa configurazione urbana si è conservata fino al 1973, anno in cui ebbero inizio i lavori di demolizione che hanno cancellato parte del tessuto urbano che occupava la superficie attualmente libera di piazza Umberto I.

All’interno del complesso di edifici demoliti vi era anche una chiesa cinquecentesca con impianto a croce greca intitolata a Santa Maria del Soccorso, il cui portale di accesso andava presumibilmente a collocarsi in posizione frontale al Palazzo Ducale.

Attualmente tracce delle vecchie demolizioni si trovano sul pavimento della piazza, ricordando le posizioni degli antichi edifici.

LUGLIO – CINQUECENTO STORICA E CHIESA DEL CARMINE

 

La chiesa sorse nel XV secolo. La costruzione fu avviata nel 1415 e completata molti anni dopo con il definitivo inglobamento delle antiche cappelle di S. Rocco e S. Sebastiano, trasformate in sagrestie, che originariamente sorgevano al di fuori dalla cinta muraria che racchiudeva il borgo medievale, sulla via per Mola di Bari. Nel 1583 i marchesi Pappacoda, che già avevano favorito la venuta dei Carmelitani a Noicattaro, fecero costruire anche il convento annesso. Ristrutturata e consacrata il 9 luglio del 1758 dal vescovo di Polignano Andrea Vinditti, come si legge in un’epigrafe su un’acquasantiera, conservata al suo interno.

La facciata della chiesa ha un porticato su cui poggia un frontone, sorretto da quattro pilastri, con lesene addossate, congiunti da archi rialzati. Il frontone è ripartito da quattro paraste, al centro un finestrone rettangolare, ai lati del quale si aprono due nicchie in cui sono le statue in pietra di S. Alberto e S. Donato, Carmelitani. Più in alto si colloca il fastigio ad arco sagomato che termina con acroterio, palla e croce. Alle estremità vi sono altri due acroteri.

La pianta della chiesa (m 23,50×10,90) è a navata unica rettangolare, lungo ogni fiancata ci sono quattro cappellette per lato, formate da archi a tutto sesto, divisi da lesene in stucco con capitelli corinzi dorati. Sulle cappelle si leva una specie di matroneo che si allarga sull’ingresso, con parapetto a ringhiera di ferro. La volte a botte è divisa da archi in quattro campi, solcati da unghie che formano nelle pareti vani ad arco acuto rialzato, nei quali si aprono finestre lunate. Sul lato destro, rispettivamente sistemate in ogni cappella, dove sono sono stati rimossi tutti gli altari, ci sono grandi tele raffiguranti S. Michele Arcangelo di Michele Montrone, San Raffaele e Tobiolo, S. Teresa d’Avila, S. Donato e S. Alberto. Sul lato sinistro: la natività della vergine, la Madonna con bambino che porge il rosario a san Domenico. Nella terza cappella sono ricavate due nicchie con le statue della madonna del Carmine e di S. Giuseppe, nella quarta cappella c’è un altare in pietra sormontato da un grande crocifisso.

La volta a botte è divisa da archi in quattro campi, adorni di decorazioni di stucco. L’altare maggiore, con la mensa sorretta da teste d’angeli, busti di putto, foglie e volute, è sormontato da un grande ovale, tra due paraste, nel quale è riposto il dipinto della Madonna del Carmine col bambino, a mezzo busto.

Una notizia poco nota è che a seguito della peste degli inizi dell’800, i locali dell’annesso convento furono trasformati in ospedale e di seguito le suppellettili e persino gli archivi furono bruciati per scongiurare il diffondersi del morbo.

 

AGOSTO – DUCATI CON SFONDO DEL CAMPANILE DELLA CHIESA MADRE

LA MADONNA DELLA PACE

In estate la spensieratezza di un giro in moto si fonde con la “pace dei popoli” rappresentata dall’antica chiesa della Madonna della Pace, di cui abbiamo ritratto il campanile.

Santa Maria della Pace prende il nome dalla pacificazione tra pagani e cristiani intorno all’800 e da un sanguinoso scontro tra Normanni e Saraceni nel XII secolo.

Vi invitiamo ad una visita: si accede a piedi, nel centro storico, oppure, appunto, in moto: differenti livelli di costruzione, bizantino, al romanico, al barocco, si sovrappongono conferendo un’impronta unica alla chiesa, testimone dei tempi di Noicattaro.

 

SETTEMBRE – L’UVA È L’ORO DELLA NOSTRA CITTÀ

NOICATTARO – LA CITTÀ DELL’UVA DA TAVOLA
 
Nei primi anni ’30 Noicattaro si specializza nella coltivazione di pregiate varietà di uva da tavola, diventando in poco tempo una risorsa fondamentale per il territorio, modificando l’industria cittadina con la creazione dell’indotto per la confezione e per la spedizione in tutto il mondo dei nostri preziosi grappoli.

OTTOBRE – LA PUPA

La festa della Madonna del Rito (Madonna di Loreto) è una delle più vissute e sentite dal popolo nojano. Si svolge in diverse serate: inizia con l’arrivo del simulacro della Madonna alla Chiesa Madre, sino al suo rientro. Nel tragitto di ritorno al santuario di Via Torre a Mare, che tradizionalmente avviene la seconda domenica di ottobre, prima del passaggio della Vergine, viene fatta esplodere “la Pupa”, una grande bambola imbottita di fuochi d’artificio.
Qui la simbologia mescola il sacro e il profano: con l’elemento purificatore del Fuoco, che arde e trasforma; il fantoccio, simbolo di buon auspicio (anticamente veniva esposto nei campi per augurare una buona annata ai contadini e ai pastori); la Madonna, simbolo di sacrificio e totale dedizione alla volontà di Dio.

NOVEMBRE – PARTICOLARE DEL CRISTO DELLA CHIESA DEL CARMINE

DICEMBRE – LA “VITA LENTA” NEI NOSTRI PAESAGGI